Il Figlio dell’Uomo che ha percorso i sentieri di questa terra, ha offerto a tutti la possibilità di rivoluzionare lo sguardo sull’esistenza umana. L’attenzione dei credenti è stata rivolta al piccolo, al semplice, al debole, bisognoso di cure: un Bambino racchiudeva in sé la divinità del Dio Vivente ed esprimeva, col suo essere, la bontà dell’innocenza.
Accadeva poco più di duemila anni fa in un contesto che certo non mostrava di valorizzare gli infanti, considerati nella storia piccoli uomini chiamati al duro lavoro.
I diritti naturali e inviolabili del fanciullo, cui si ispirano le Convenzioni Internazionali di New York e Strasburgo, originano in quel capovolgimento di visione che parte da Nazareth e scardina gli usi di Greci e Romani, i quali non garantivano affatto la protezione della vita. Pensiamo ai figli deformi abbandonati alle intemperie o gettati dalla famosa rupe, con l’approvazione di Platone e Aristotele e ad analoghe pratiche ammesse dai celebrati codici legislativi attribuiti a Licurgo e Solone o alla diffusa pedofilia comunemente accettata in quelle società da noi oggi apprezzate per ben altri meriti. Un padre a suo capriccio poteva impunemente vendere o eliminare il proprio stesso figlio.
Con Gesù e nel suo nome i bambini divengono persone, degne di “non essere scandalizzate”, offese, esempio della purezza e semplicità necessarie per accedere al Regno dei Cieli. Ma i compilatori delle Convenzioni succitate lo negano, non rintracciando nel Suo messaggio i germi della società ritenuta giusta, al punto che si è voluto cancellare con un colpo di spugna le radici cristiane dell’Europa laica, come fa un adolescente che si vergogna dei propri genitori rinnegando così una parte di sé.
Insegnamenti di così profondo valore umano e spirituale trovano ostacoli e contraddizioni nella cultura dominante quando promuove un uso imprudente della tecnologia, di per sé strumento di sviluppo sociale e di cura, guidato dall’egoismo dell’uomo che s’illude padrone ultimo di vita e morte.
L’intenzione di aiutare chi non riesce a realizzare la trasmissione della vita, si è trasformata nella pretesa di costruire a tavolino, al microscopio, la vita umana con la manipolazione cellulare, prescindendo dall’incontro reale di uomo e donna, foriero di creatività e ricorda le intenzioni del dottor Frankenstein che assembla i pezzi per trasformare dei qualcosa in un qualcuno.
La vita si trasmette nel tempo attraverso generazioni, rendendoci veicolo di un’essenza impalpabile che trascende la quota genetica: una scintilla si attiva nell’utero materno nell’attimo del concepimento, da cui i rapidi cambiamenti in una successione di eventi durante lo stadio prenatale. Tale evoluzione è legata alla qualità della relazione psicofisica tra madre e nascituro: nei mesi di gestazione si attua un percorso di conoscenza reciproca seppur non ancora faccia a faccia. Accoglienza e rispetto sono il presupposto per il costituirsi della nuova identità che verrà preparata ad andare incontro al mondo, rappresentato in primis da madre e padre. Genitori non si nasce, lo si diventa appena la vita bussa e impone la necessità naturale di decentramento degli adulti, il cui ruolo fondamentale si stabilisce ora in base alle priorità del minore. Tale atto oblativo è pari a quello insegnato da Gesù, Amore che nulla pretende, addirittura sacrifica se stesso per l’altro e da qui il miracolo del seme che, morendo a se stesso trasformandosi in germoglio, sboccerà per portare nuovo frutto.
Piegare la vita a uso e consumo dei propri desideri è segno della deriva esistenziale che caratterizza i nostri tempi in cui l’opinione pubblica pare narcotizzata e incapace di discernere ciò che è etico, ignorando i diritti di chi non ha voce: i bambini. Echeggiano slogan come “voglio un figlio a tutti i costi”, “ho diritto ad avere un figlio” che si ergono sul diritto del minore ad avere un padre e una madre in rapporto d’amore e rispetto reciproco, in fedeltà alle promesse e nella stabilità oltre le umane difficoltà della coppia. Questa visione adultocentrica ignora la prospettiva del vero protagonista, stentando ad affermarsi il puerocentrismo che guarda invece al contesto in cui si sviluppa il futuro cittadino, reificato dalla propaganda che spaccia a buon mercato diritti per tutti ed esclude paradossalmente proprio quelli dei bambini.
Essi sono il simbolo e il ricordo del Dio incarnato, fattosi piccolo come piccoli, in certo senso, sono anche coloro che percorrono un cammino di emancipazione per il recupero delle autonomie, delle capacità di assumere su di sé la responsabilità della propria esistenza, come chi è accolto in Comunità Alloggio per la riabilitazione psicosociale. Emerge la stessa esigenza di crescere in un ambiente affettivo adeguato, valorizzante, rispettoso delle identità, caratterizzato da accoglienza e riconoscimento affinché ciascuno possa esprimersi e trovare un posto – il proprio – nella società in cui vive.
È questa l’attesa della Nascita, del nostro Natale…
AUTRICE dell’articolo:
Daria Borsetti, psicologa e psicoterapeuta della Gestalt
Tratto da:
” Anno XXXIII n. 11/12 Novembre/Dicembre 2014 pag. 37 – Sezione “Vita Emmanuel”